martedì 24 aprile 2012

Farai sparire i tuoi conflitti...

"Farai sparire i tuoi conflitti quando li avrai compresi nella loro radice ultima, non quando li vorrai risolvere."

Per un anno, a giorni alterni, ho meditato sulle mie contraddizioni e su quali fosser le loro radici. Per trovare le contradizioni pensavo a come si era svolta la giornata e a ciò che mi aveva creato tensioni, sofferenza, etc. e mi chiedevo cosa fosse accaduto, andando indietro il più possibile, e alla fine arrivavo sempre ad identificare una mia contraddizione, spesso la stessa.
Qualsiasi sofferenza banalissima, disappunto, ansia, etc. che attribuivo ad un altra persona, alla fine mi riconduceva ad una mia aspettativa o altro.
Questo mi ha portato a riconoscere, mentre sorgevano queste situazioni, da cosa nascevano, o a metterle da parte, per meditarci successivamente, ma comunque tenendo presente che non dovevo crederci, non dovevo dargli retta.
Il conflitto non è esterno, ma si tratta di contenuti tuoi che emergono.

Per conflitto intendiamo un problema o qualcosa che ci crea tensione.
Quando ti concentri su un problema, con l'intenzione di risolverlo, non ci riesci.
Quando ci sono conflitti di opinione, ognuno cerca di far valere la propria, di imporla; e la cosa migliore è andare alla radice, e vedere perchè uno vuole quella cosa o l'altra.
Anche in caso di conflitto con sé stessi, andare a cercare da dove viene è l'unico modo per superarlo, e decidere cosa fare o cosa scegliere.
A volte anche quando mi interrogo e vedo da dove nasce, il conflitto non sparisce, trovo giustificazioni o sento ingiustizia, o non so come gestirlo. In questo caso sto riconoscendo la radice solo a livello intellettuale (capisco), ma non lo sto portando in profondità (comprendo).
Il livello attenzionale è fondamentale: quando sono lucida e comprendo, sto bene; ma appena cala l'attenzione, quel conflitto ricompare: saltano fuori le credenze, il passato, la cultura. Però riemerge con meno carica.

Ha a che fare con lo stabilito: se si credo e non lo metto in discussione, continuerò a dare le stesse risposte.

C'è un fascino nei conflitti: è bello prendersela con qualcuno, litigare, avere ragione: è confortante, è compensatorio. Se l'altro è cattivo, significa che tu sei buono.

Mi smonto l'illusione che sia dalla mente che parte la volontà di risolvere un conflitto, quando invece per risolverlo devo partire da un'altra parte e usare altri strumenti. Comprenderlo parte da una necessità.

Se sparisce il conflitto, puoi anche continuare a fare o ripetere l'atto che ti creava conflitto, ma senza più soffrire (per esempio senza sentire sensi di colpa).

Quando decido di fare qualcosa metto attenzione, ma poi non riesco a mantenerla e mi sento in colpa, e me la prendo con me stesso.

lunedì 23 aprile 2012

Questa sera in saletta

..chiacchieriamo dell' ottavo principio di azione valida:


"Farai sparire i tuoi conflitti quando li avrai compresi nella loro radice ultima, non quando li vorrai risolvere."

A stasera!


mercoledì 18 aprile 2012

Se persegui un fine...

"Se persegui un fine, ti incateni. Se tutto ciò che fai, lo fai con un fine in sé stesso, ti liberi."

Fa subito pensare al fare le cose perchè ha senso farle, al di là dell'esito. Se applicato, questo principio modifica tutta la tua vita, perchè farai solo ciò che ti sembra abbia senso. Pertanto, ti porta a chiederti, e a scoprire, ciò che per te ha senso.
Questo principio ti porta a chiederti il perché di ogni cosa che fai, e ti rivela ciò che ti muove.

C'è incatenamento quando per ottenere il tuo obiettivo, ti trovi a doverti muovere in un certo modo predeterminato.
Se persegui un fine sei incatenato anche a tutte le cose esterne necessarie ad ottenerlo, e quindi si crea una dipendenza che incatena e determina il tuo clima.

Se invece fai le cose come un fine in sé stesso, sei sempre coerente, anche nel cambiare idea se decidi di farlo.

Mi rendo conto che ci sono tante cose che non faccio per paura di non raggiungere il risultato, e quindi me ne privo. Se invece faccio le cose slegate dal risultato, decadono anche le paure collegate.

Quali sono gli indicatori che sto agendo bene?
- quando apprezzo anche il percorso che sto facendo
- quando tutti i risultati che potrebbero presentarsi (o non presentarsi) mi staranno bene, li accetterò,
allora starò facendo quell'atto perché ha senso farlo; seinvece qualche ipotetico risultato lo rifiuto, ecco che sono ancora incatenato all'esito.

Questo è un principio che si contrappone al mito della ricerca del successo: da un obiettivo esterno, ti riporta ad un senso interno.

Anche questo principio è molto legato alle aspettative.

Relativamente al Proposito, non vi è persecuzione di un fine, perché non sacrifica nulla, ma porta avanti tutto insieme, e ogni passo che si fa per arrivarci, è valido anche preso da solo.

Questo principio ti evita il risentimento perché non hai nessuno da incolpare se non raggiungi un fine, nemmeno te stesso.
E se non raggiungi l'obiettivo, chissenefrega: voliamo sulle ali di un uccello chiamato tentativo.




lunedì 16 aprile 2012

Questa sera in saletta..

..parleremo del settimo Principio di Azione Valida:

"Se persegui un fine, ti incateni. Se tutto ciò che fai, lo fai come un fine in se stesso, ti liberi."

tratto dal XIII capitolo del libro "Il Messaggio di Silo"




mercoledì 4 aprile 2012

Se persegui il piacere....

"Se persegui il piacere, ti incateni alla sofferenza. Ma se non danneggi la tua salute, godi senza inibizioni quando si presenta l'opportunità" - 6° Principio di azione valida

Perchè parla di non danneggiare la tua salute? Perchè il corpo ti serve. E infatti proprio nel capitolo I La Meditazione si dice anche "qui c'è amore per il corpo".
Il piacere è inteso come qualcosa che è collegato al corpo (sesso, cibo, sonno, e tutto ciò che è vegetativo), altrimenti non parlerebbe di salute, che riguarda esclusivamente il corpo.

Ci sembra interessante che venga sottolineato che conviene godere "senza inibizioni", queste infatti sono molto personali, hanno a che fare con le varie "morali" con cui si è entrati in contatto e riguardano le censure e il trattenersi; elemento che va totalmente in contrasto col fare ciò che ci si sente di fare.
La negazione pregiudiziale è legata al viversi la cosa con contraddizione.


Questo principio ci riporta alla scala di valori, l'immagine di sè, i pregiudizi, il paesaggio di formazione, le menate, le credenze, lo sguardo esterno e il giudice interno.
Quanto siamo liberi di fare veramente ciò che vogliamo?

"Quando si presenta l'opportunità" non vuol dire che uno deve, ma quando uno vuole.
Ha a che fare con la direzione che dai alla tua vita e non può prescindere dagli altri principi.

Il "perseguire" denota un accanimento, il fatto di dare tutta questa importanza all'atto, e quindi manipolare la situazione per far sì che il piacere si dia, ti incatena; non sei libero. E' tutto legato alle aspettative.
Se vai nel mondo aperto a ricevere tutto come se fosse un regalo, ti cambia la prospettiva e ti libera.
Se persegui il piacere, non ti accorgi di tutto il resto che ti accade attorno.
Quando uno si fissa nel perseguire il piacere, si ritrova talmente incatenato alla sofferenza che non gode neanche.
E' l'atteggiamento mentale che è diverso: se diventa un oggetto mentale, si lega ad un insogno.
Perseguire ti fa fare fatica per ottenere una piccola soddisfazione; mentre quando arriva l'occasione, ci si gode tutto, anche il fatto che si sia presentata l'opportunità.

Ho sempre perseguito il piacere dell'ozio (e del sonno), anche se poi magari i sensi di colpa mi inducevano a non goderne davvero. Nel perseguirlo mi incatenavo, perché in realtà utilizzavo l'ozio come una fuga. Alla fine non mi godevo il sonno perché sapevo che c'erano altre cose da fare (senso di colpa). Se si sceglie in base alla comodità, dietro c'è un'inculata: ti stai facendo condizionare dal tuo corpo, è lui che sta decidendo, invece dovrebbero essere le tue aspirazioni a orientarti.

Siccome non riesco a godere senza inibizioni quando si presenta l'opportunità, allora già mi ritrovo a perseguire questo piacere. Mi sono chiesta da dove viene questa cosa, e sicurametne c'entra il paesaggio di formazione quando ci facevano credere che è giusto soffrire, che la penitenza serve ad espiare i peccati decisi dalla morale, etc. Tutto ciò crea conflitto con il "tratta l'altro come vorresti essere trattato.

Quando si sta con un certo livello di attenzione, i registri sono inequivocabili.
Si agisce in base alle necessità, e la necessità va cambiando man mano che si lavora con sé setessi, e all'aumentare della possibilità di scelta.
Il perseguire è legato ad un registro di forzatura; così come il "quando si presenta" richiama il fatto di saper cogliere o lasciar andare.
Il lasciar andare può anche esser visto non solo come un "perdere qualcosa, ma come una trasformazione, dove lì non perdi nulla, ma si trasforma in qualcosa d'altro.