mercoledì 24 ottobre 2012

Commenti al capitolo XIX - Gli stati interni

COMMENTI AL CAPITOLO XIX - GLI STATI INTERNI (Paragrafi 1 e 2)

La prima cosa che mi appare evidente è che c'è una differenza tra "stato" e "via": noto come lo stato di vitalità diffusa, in questo caso, mi dà la sensazione di un circolo chiuso e solo in apparenza dinamico, ma in realtà qui si sta fermi e statici tra la variabilità delle forme che si scelgono. Non appena mi affaccio a valutare il modo di uscire da questo stato mi si presenta l'idea di dinamicità, di movimento e di percorso che si sceglie. Le sento come due condizioni diverse del mio interno.

Nel tentativo di definire, attraverso l'esperienza personale, i limiti dello stato di vitalità diffusa, mi rendo conto che qui manca una direzione chiara della vita: uno stato in cui non si sa dove si sta andando e non se ne conoscono soprattutto le motivazioni. Tutto viene deciso a partire da necessità fisiche che vengono caricate in modo inopportuno, confuse ed elevate come fine ultimo da raggiungere per realizzare se stessi.

Qui è l'identificazione totale con il corpo a cui affido la mia direzione. Questa completa identificazione porta con sè tutte le conseguenze che hanno a che vedere con il percepirsi solamente "corpo": avverto instabilità e variabilità ma entro limiti ben difiniti e piuttosto angusti; partecipo totalmente di tutte le tensioni che mi affliggono, io stesso sono quelle tensioni che continuamente con atti poco coerenti cerco di distendere; ho la sensazione di essere quasi sempre esterno a me stesso e sono molto rari i momenti in cui intravedo qualcos'altro di più profondo dentro di me, a cui peraltro mi riesce difficile dare voce e spazio. E' uno stato in cui, poichè non si riesce a dare valore e importanza ad esperienze più elevate, poichè spesso non si riesce nemmeno a riconoscerle, si ha la tendenza a conservare quanto più possibile il corpo. Ed è uno stato di "vegetazione" per la sensazione di immobilità che posso percepire.

Tutto ciò mi si chiarisce dentro quando mi richiamo il passo del capitolo III ("Il non-senso") dal quale leggo: "Scoprii, nel corso di molti giorni, questo grande paradosso, coloro che portavano il fallimento nel cuore poterono cogliere la vittoria finale; coloro che si sentivano trionfatori, si fermarono lungo il cammino come vegetali dalla vita scialba ed opaca". Questo mi richiama la coincidenza tra identificazione con il corpo, stato di "vegetazione" interna, conservazione del corpo e sperimentazione frequente (cosciente o inconsapevole che sia) del non-senso di tutta l'esistenza.

E' proprio sul punto del fallimento che si pone l'attenzione quando si parla di uscire dallo stato di vitalità diffusa per evolvere. La sensazione sperimentata di fallimenti può essere una molla che mi spinge a intraprendere un'analisi sulla mia vita e proiettare verso il futuro una nuova direzione. La percezione chiara e sincera che meccanismi e comportamenti che finora ho messo in atto, non hanno più validità, è un buon segno per mettersi nell'ottica dell'evoluzione (anche se dovesse essere doloroso per alcuni, o inteso come un grande regalo per altri). Così come la sperimentazione del fallimento, anche puntare maggiore attenzione su esperienze extra-ordinarie, esperienze di un senso dal sapore diverso e più completo, che noi tutti viviamo può modificare lo sguardo che ho sulla mia vita. Inoltre, sperimentare in un certo modo, cosa può significare la morte è un altro motore di trasformazione dello sguardo e della direzione vitale.

...[Da quel punto si può evolvere soltanto attraverso due vie: la via della morte o quella della mutazione]...

Con la via della morte si spezzano alcuni meccanismi: modi di essere e di vedere le cose, perciò si abbandonano cose e si deve essere disposti a lasciarle. Forse è per questo che la scelta di questa strada, almeno inizialmente, ti mette "in presenza di un paesaggio caotico ed oscuro", perchè si perdono momentaneamente i parametri con cui sono sempre stato abituato a vivere.
Lo sperimento come un percorso con prove difficili da superare e per questa via ho bisogno di avere un proposito che mi spinga, mi attiri.
E' molto importante questo punto poichè intraprendere questa via senza un proposito e una decisione interna, una convinzione profonda, potrebbe vedermi soccombere di fronte alle difficoltà che mi si presentano e di qui tornare immediatamente allo stato di vitalità diffusa.

Questa idea mi fa pensare che il cammino per gli stati inerni non ha una configurazione a spirale, ma piuttosto è una diramazione di stati (livelli) e strade diramate che collegano questi ultimi"

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