martedì 15 maggio 2012

Quando tratti l'altro...

"Quando tratti l'altro come vuoi essere trattato, ti liberi"

Mi rendo conto che è più facile accorgermi del contrario: di quando tratto male l'altro e mi sento incatenati da questo atteggiamento. O anche di quando non mi sento trattato bene dall'altro.

Leggendo il principio mi viene da chiedermi come vorrei essere trattato, cosa vorrei ricevere dall'altro.
Com'è che voglio essere trattato? Non è facile avere chiarezza su questo.
Devo fare attenzione a non muoversi per meccaniche compensatorie, proiettando sull'altro quello che piace a me, perchè non è detto che ciò che piace a me corrisponda a ciò che piace all'altro, e mi rendo conto che quando mi comporto così, resto molto in superficie, non sto davvero cercando di trattare bene l'altro, ma mi sto muovendo per compensazione, cercando di capire cosa vorrebbe l'altro, magari per sentirmi buono, o sentire riconoscenza o riconoscimento da parte dell'altro.
Mi sembra molto più interessante invece puntare a lasciare la libertà all'altro, indipendentemente se questo implica che l'altro farà qualcosa che non ci fa piacere.


Non sempre mi connetto con la seconda parte del principio, quella della libertà, in cui mi rivela che agendo in accordo con il principio, mi libero.
 
Questo principio c'entra con l'amore che mandi verso l'altro: prima lo devi trovare dentro di te, e poi lo puoi passare all'altro.
Lo stesso concetto, di trattare l'altro come si vuol essere trattati, lo si ritrova in molte culture, come se fosse una legge universale, ed è interessante notare che differenti culture, ambienti etc, abbiano prodotto la medesima comprensione, come se stesse all'interno dell'essere umano stesso.

Ma com'è che se siamo tutti d'accordo su questo principio, non riusciamo ad applicarlo? Perchè è così difficile?
Forse perchè c'è da mettersi davvero nei panni dell'altro, lasciando perdere i miei desideri o interessi.
O forse anche perchè questa libertà mi fa un po' paura, dal momento che dal momento in cui ce l'ho, non posso più incolpare nessuno.... e son talmente abituato a muovermi su binari, dentro recinti, che uscirne spaventa.
Mi torna in mente "A proposito dell'Umano" quando dice "più t'allontani e più mi sento riconfortato, perchè ho contribuito a spezzare le tue catene". Forse non sempre questo accade, e a volte non subito.... ma cmq. contribuisce a spezzare anche le mie di catene :-) 


Se non ho un certo tipo di esperienza (unitiva) trovo normale comportarmi diversamente (meccanicamente) perché non ho un'alternativa da confrontare e tra cui poter scegliere.
So riconoscere quando c'è un registro che mi indica che sto facendo bene: e si manifesta con una certa fluidità di relazione, assenza di resistenze e censure.
Più aspiri a costruire questo tipo di relazione, più ti accorgi dei campanelli di allarme che indicano quando stai agendo in contrasto con il principio.
Quando mi permangono appesi contenuti altrui, sono io che mi sto incastrando, che sto trattenendo l'altro.
Le mie paure mi bloccano e non mi liberano, se le identifico posso indagare e liberarmi, se no resto incatenato e trascino l'altro nelle mie paure e nelle mie catene.

Questo è un principio in crescita: man mano imparo a riconoscere come voglio essere trattato e come trattare gli altri.


Spesso viviamo talmente immersi nei nostri insogni, ci crediamo così fortemente, che anche quando vediamo arrivare certi indicatori d'allarme, non gli diamo retta, e continuiamo finchè quell'insogno fallisce, per lasciar spazio ad un nuovo insogno, o anche alla ripetizione.

E' importante dare valore alle volte in cui riesco ad applicare questo principio,
è importante memorizzare il registro cenestesico dei momenti positivi,
è importante Ringraziare: la conversione si dà nel riconoscimento.

Quando tratti qualcun altro, stai facendo un'operazione verso il mondo, vedi gli altri come parte integrante del tuo mondo, e lo sguardo che metti sul mondo dell'altro e sulle sue diversità, è liberatorio.




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